Thema (Omaggio a Joyce) – Nota dell'autore
Thema (Omaggio a Joyce)
elaborazione elettroacustica della voce di Cathy Berberian su nastro magnetico (1958)
Testo di James Joyce
Se l’esperienza della musica elettronica è importante, come credo, il suo significato non risiede tanto nella scoperta di nuovi suoni quanto nella possibilità che tale esperienza offre al compositore di estendere il campo dei fenomeni sonori e di integrarli al pensiero musicale; di superare, quindi, la concezione dualistica del materiale musicale. Così come il linguaggio non è scindibile in parole e concetti, ma è in realtà un sistema di simboli arbitrari, attraverso il quale noi diamo una forma determinata al nostro modo di essere nel mondo, anche la musica non è fatta solo di note e di relazioni convenzionali tra le note, ma si identifica piuttosto con il nostro modo di scegliere, dare forma e mettere in relazione tra loro certi aspetti del continuum sonoro. Versi, prosodia, rime non sono più assicurazione di poesia di quanto le note scritte siano assicurazione di musica. Spesso si trova più poesia nella prosa che nella poesia stessa e più musica nel linguaggio parlato e nel rumore che nei suoni musicali convenzionali.
È in questa prospettiva che deve essere inteso Thema (Omaggio a Joyce) per nastro magnetico, composto nel 1958. Con esso ho cercato di interpretare musicalmente una lettura del testo di Joyce sviluppando l’intento polifonico che caratterizza l’undicesimo capitolo dell’Ulysses (intitolato «Sirens» e dedicato alla musica), la cui tecnica narrativa fu suggerita allo scrittore da una nota procedura della musica polifonica: fuga per canonem.
In questo lavoro non ho utilizzato suoni prodotti elettronicamente: l’unica sorgente sonora consiste nelle registrazioni della voce di Cathy Berberian che legge l’inizio dell’undicesimo capitolo dell’Ulysses. Il testo viene letto non solo nella versione originale inglese, ma anche nella traduzione italiana (Montale) e in quella francese (Joyce e Larbaud).
Con Thema mi interessava ottenere una nuova forma di unione fra linguaggio parlato e musica, sviluppando le possibilità di una metamorfosi continua dall’uno all’altra. Attraverso una selezione e una riorganizzazione degli elementi fonetici e semantici del testo di Joyce, la giornata di Mr. Bloom a Dublino (sono le quattro del pomeriggio, all’Ormond Bar) prende una direzione diversa in cui non è più possibile distinguere tra parola e suono, tra suono e rumore, tra poesia e musica, ma dove ancora una volta diveniamo consapevoli della natura relativa di queste distinzioni e dei caratteri espressivi delle loro cangianti funzioni.
Luciano Berio
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