Otto Romanze (nota dell'autore)
Verdi - Berio
Otto romanze
per tenore e orchestra (1990)
Testi di Jacopo Vittorelli, S. M. Maggioni, Felice Romani, Temistocle Solera, Johann Wolfgang Goethe (nella versione di Luigi Balestra), Andrea Maffei
1. In solitaria stanza
2. Il poveretto
3. Il mistero
4. L’esule
5. Deh, pietoso, oh Addolorata
6. Il tramonto
7. Ad una stella
8. Brindisi
Penso che queste Otto romanze per voce e pianoforte (non conosco la data di composizione per la maggior parte di esse) possano essere considerate dei veri e propri studi per scene, arie e cabalette di melodrammi verdiani in fieri. Vi si ritrovano infatti echi del Nabucco, de La forza del destino, del Don Carlos e, addirittura, una intera frase da «Tacea la notte placida» del Trovatore. Avrei potuto orchestrare «alla Verdi» queste espressive e idiomatiche romanze, riesumando cioè i manierismi orchestrali del primo Verdi rintracciabili nella parte pianistica, che si configura essa stessa come una trascrizione dall’orchestra, come uno «spartito per canto e pianoforte» (il codice d’intrinseca e pragmatica funzionalità fra partitura e spartito nel melodramma italiano è un argomento che, per i suoi risvolti poetici e divulgativi, varrebbe forse la pena di approfondire). Invece, la linea di condotta da me perseguita nell’orchestrazione non è omogenea perché questi otto brani - pur nella loro «verdianità» - sono assai diversi fra loro nel carattere espressivo, nello spessore musicale e nella qualità, spesso sconsolante, dei testi. Talvolta ho reso filologicamente omaggio al gesto orchestrale verdiano, altre volte ho commentato storicamente il discorso musicale originale, cosicché sembra giungere da lontano (dallo stesso Verdi della Traviata, per esempio, dal Wagner del Lohengrin o da altro ancora). Talvolta, infine, ho commentato il testo originale con prudenti proliferazioni tematiche o con trasformazioni armoniche che, pur legate organicamente al testo verdiano, tendono a produrre un effetto di spaesamento che, suppongo, avrebbe incuriosito tanto Verdi quanto Brecht. Potrei citare alcuni casi dove questo effetto di straniamento (significativo solo per orecchi musicali) si è reso inevitabile. Nella romanza «Deh, pietoso, oh Addolorata» su un testo di Goethe (reso irriconoscibile dalla sconcertante traduzione del signor Luigi Balestra) Verdi cita - suppongo si tratti di un’anticipazione piuttosto che di una citazione - il Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns. Non ho potuto resistere alla tentazione di adattare un certo momento della romanza verdiana all’armonia e al raffinato colore strumentale del compositore francese. Questo e altri adattamenti contribuiscono dunque a collocare le Otto romanze in un rispettoso e sottile tessuto di riferimenti musicali, che commenta, con il senno e il distacco di centocinquanta anni dopo, i rapporti del linguaggio, dello stile e delle maniere verdiane col tempo che passa.
Luciano Berio
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